1. Io mi vorrei ritagliare in questo convegno, come già hanno fatto altri prima di me, il compito suggestivo del testimone. La testimonianza di un professore di diritto costituzionale che ha avuto, come si sarebbe detto in altri tempi, il privilegio di essere stato, per un certo periodo, membro del Parlamento.
Non è il caso di soffermarmi sulla circostanza che negli ultimi tempi questo privilegio sembra aver perso una parte del suo antico significato, resta comunque il fatto che per un costituzionalista, abituato a raccontare in maniera un poco più fredda, ma certamente più razionale, il procedimento di formazione della legge, poter rievocare alcuni passaggi della vita parlamentare come momenti della propria personale e vissuta esperienza, non è certamente privo di valore.
Pensavo a tutto questo stamane quando Paolo Caretti parlava dell’uso della lingua italiana nei testi normativi ed ancora quando il prof. D’Atena ritornava sullo stesso argomento, come moderatore della tavola rotonda. Come non concordare con quelle considerazioni, avendo partecipato o soltanto assistito da vicino alla formazione di alcune delle leggi più recenti ed avere anche cercato di porre un argine ad una deriva disinvolta nell’uso della lingua nei testi normativi, all’interno di un organo espressamente deputato a quel controllo come il Comitato per la legislazione.