Commentare a “stretto giro” una sentenza come la n.170/2014 non è impresa facile sia per le implicazioni sul piano politico associato a questa additiva di principio con forte monito per il legislatore, sia per le incerte ricadute sul piano ordinamentale. In effetti, il dispositivo sembra lasciare aperta la questione principale: la coppia same-sex “derivata”, ovvero divenuta tale a seguito di rettifica del sesso di uno dei coniugi, vedrà sciogliersi per legem il vincolo matrimoniale?
Vediamo di inquadrare la questione.
Con l’ordinanza di remissione n.14329/2013, la Cassazione dubitava – non a torto si può ben dire oggi – della costituzionalità della disciplina sulla rettifica del sesso, in particolare con riferimento agli artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, applicabili al caso concreto ratione temporis), ed in via consequenziale, della novella di cui all’art.31, comma 6, del decreto legislativo 1 settembre 2011 .
Pur avendo sin da subito espresso forti perplessità rispetto alle argomentazioni della Cassazione , ammetto che mi sarei aspettato una scelta molto più elusiva e di chiusura da parte della Consulta, la quale avrebbe potuto optare per l’inammissibilità.
In effetti, dall’analisi della recente giurisprudenza che va dalla sentenza n.138/2010 della Corte costituzionale , passando per la sentenza n.4184/12 della Cassazione , è semplice constatare come negli ultimi anni il paradigma eterosessuale che circonda il concetto di matrimonio si è sempre posto quale limite monolitico nel ragionamento sia del Giudice delle leggi, sia del giudice di legittimità.
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Commento "a caldo" della sentenza n. 170/2014 della Corte costituzionale: quali prospettive?
- di: Michele Di Bari