SOMMARIO: 1. Con la pronuncia Placì c. Italia la Corte di Strasburgo torna sui rapporti fra giusto procedimento e giusto processo amministrativo. - 2. Il rilievo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per la disciplina dell'attività amministrativa. Incidenza indiretta e best practice amministrative. - 3. L’autonomia interpretativa della Corte europea dei diritti dell’uomo. - 3.1. La nozione di tribunale imparziale e indipendente. - 3.2. La nozione di diritti ed obbligazioni civili. - 3.3. La nozione di accusa penale. - 4. Il rapporto fra giusto procedimento e giusto processo ex art. 6, par. 1 CEDU - dal due administrative proceeding alla full jurisdiction. - 5. Conclusioni. Necessità di realizzare l’effettività della tutela giurisdizionale attraverso il giusto procedimento ovvero attraverso il giusto processo fondato sul pieno accesso ai fatti, anche complessi, che costituiscono il presupposto delle decisioni amministrative.
1. Con la pronuncia Placì c. Italia la Corte di Strasburgo torna sui rapporti fra giusto procedimento e giusto processo amministrativo.
La pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo resa nel caso Placi v. Italy (2014) si occupa del rapporto fra il principio del giusto processo sancito dall’art. 6, par. 1 CEDU, le garanzie del giusto procedimento amministrativo e il sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo sulle valutazioni tecnico-discrezionali delle amministrazioni pubbliche.
Il caso che ha originato la decisione, con cui lo Stato italiano è stato condannato all’unanimità per aver violato l'art. 6, par. 1 CEDU, merita di essere brevemente richiamato.
Un giovane era stato chiamato all'età di diciotto anni a prestare il servizio di leva obbligatorio, oggi sospeso. Durante l’espletamento della leva, veniva sottoposto a svariate sanzioni disciplinari di carattere militare, particolarmente afflittive dal punto di vista psico-fisico. Nel 1995 gli venivano diagnosticati alcuni disturbi di carattere psicologico, che lo rendevano incapace di relazionarsi in modo adeguato con i compagni di leva. Preso atto dell’incompatibilità delle sue condizioni psico-fisiche rispetto alla prosecuzione del servizio, veniva congedato. Successive visite mediche specialistiche cui si era sottoposto stabilivano un rapporto di causalità fra servizio di leva, sanzioni inflitte e disturbi della personalità insorti nel suo corso.
Su tali basi, presentava una istanza di indennizzo, in forza del D.p.R. n. 686/1957, legge di disciplina dell’equo indennizzo che lo Stato riconosce ai dipendenti pubblici che abbiano riportato una infermità dipendente da causa di servizio , la quale veniva respinta sulla base delle valutazioni tecniche espresse dalle Commissioni mediche ospedaliere nel parere parzialmente vincolante . Le stesse, pur diagnosticando un disturbo ossessivo-compulsivo in capo all'istante, negavano la sua riconducibilità al servizio militare, rilevandone piuttosto la preesistenza rispetto allo svolgimento delle mansioni pubbliche.