L’uguaglianza degli uomini non è un dato di fatto. È un obiettivo da perseguire. E lo si persegue sia vietando discriminazioni (c.d. principio di non discriminazione) – nel nostro ordinamento vi sono, com’è notissimo, sei specifici e tassativi divieti di discriminazioni riguardanti: sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali; nell’ordinamento europeo, a mero titolo esemplificativo, l’art. 21 TFUE elenca: sesso, razza, colore della pelle, origine etnica e sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione, convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza a una minoranza nazionale, patrimonio nascita, handicap, età e tendenze sessuali; e il secondo comma pone in evidenza il divieto di discriminazione basato sulla cittadinanza, da sempre a fondamento del sistema comunitario – sia promovendo le condizioni – liberazione degli individui dal bisogno, eliminazione delle disuguaglianze di fatto – per realizzare pari opportunità per tutti e l’effettivo godimento dei diritti: l’uguaglianza appunto.
La disposizione contenuta nel capoverso dell’art. 3 della nostra Costituzione, credo senza precedenti in termini, non ha soltanto un profondo valore ideologico, ma è a base della nostra forma di Stato sociale.
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