Il binomio cittadinanza-partecipazione democratica si è, per lungo tempo, caratterizzato – e tuttora, invero, si caratterizza in massima parte – per una dimensione esclusiva, risentendo, tale rapporto di esclusività, per lo più di una radicata tradizione storica che risale, quanto meno, allo Stato ottocentesco e, segnatamente, alla concezione dello status activae civitatis coniato dalla teorica dei diritti pubblici soggettivi (cfr., per tutti, E. Grosso, La titolarità del diritto di voto. Partecipazione e appartenenza alla comunità politica nel diritto costituzionale europeo, Torino 2001, 4 ss; F. Lanchester, Voto: diritto di, in Enc. dir., XLVI, Milano 1993, 1107 ss.), con la conseguente marginalizzazione dal circuito delle decisioni politiche di chi non sia cittadino dello Stato.
Sennonché, più di recente, la dottrina, stimolata anche da alcuni indirizzi giurisprudenziali e normativi, ha cominciato a riflettere sulla possibilità di estendere i diritti politici al di là dei circuiti della cittadinanza legale, secondo un trend che connota ormai da tempo gli altri diritti di partecipazione democratica, segnatamente quelli sociali.
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NOTE MINIME SULLA PARTECIPAZIONE ALLA VITA DEMOCRATICA DEL NON CITTADINO (LA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE SUI DIRITTI POLITICI DEGLI STRANIERI)
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