Con l’annuncio, a fine anno, da parte del Presidente della Repubblica che le riforme costituzionali «restano una priorità» ma «le procedure da seguire (…) sono rimaste quelle originarie», è stata ufficialmente chiuso il capitolo delle riforme costituzionali previste dal disegno di legge costituzionale n. 813 A.S. (di seguito, d.d.l. n. 813). Sarebbe però un errore fare finta di niente e non parlarne più. Un silenzio che, in un futuro anche prossimo, potrebbe consentire di riesumare ancora una volta il metodo di revisione costituzionale “derogatorio”, “speciale” e “straordinario” incentrato su una Commissione bicamerale per le riforme, già tentato infruttuosamente nel 1993, nel 1997 e, da ultimo, nel 2013. Dovrebbe piuttosto aprirsi un ampio dibattito, in sede istituzionale oltre che scientifica, nel quale siano discussi i molti aspetti controversi del d.d.l. n. 813, di cui cercherò qui di seguito di evidenziare almeno i tre più importanti.
Il primo è costituito dalla lampante contraddizione tra il formale ossequio all’art. 138 - ritenuto tuttora idoneo a “garantire” i valori e i princìpi della nostra Costituzione mediante il procedimento di revisione ivi previsto (e perciò non modificato) - e la previsione di un metodo “alternativo”, una tantum (!), per le riforme costituzionali.